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11 marzo 2009

Il Traghettatore di Anime Dannate: Caronte



Nella mitologia greca e romana, Caronte (in greco Χάρων, "ferocia illuminata"; Charun secondo gli etruschi) era il traghettatore dell'Averno o Ade. Il suo compito era di traghettare le anime dei defunti da una riva all’altra dell’Acheronte. Caronte, inoltre, accompagnava solo le anime di cui i cadaveri avevano gia ricevuto gli onori, mentre, secondo un’altra versione, trasportava solo quelli che potevano pagare il viaggio (obolo). Chi non riusciva a pagare l’obolo, era condannato a vagare nella nebbia sulla riva del fiume per cento anni. Nell’Antica Grecia, era tradizione mettere sotto la lingua del defunto alcune monete, di solito d’argento. Questa usanza è scomparsa in epoche recenti, ed ha origini antichissime. Alcuni autori sostengono che il prezzo dell’obolo era di due monete, poste sopra gli occhi del defunto al momento della sepoltura. Nessuna anima ancora in vita era stata trasportata dall’altra parte del fiume Acheronte, tranne gli eroi Enea, Teseo, Ercole e Orfeo, Deinofobe e Psiche. Secondo la mitologia, Caronte è il figlio di Erebo e Notte, ed appare in grandi opere letterarie del passato, come l’Eneide di Virgilio e la Divina Commedia di Dante. Fa la sua apparizione anche nel V Secolo, nella commedia “Le Rane”, di Aristofane, in cui impreca e urla contro chi gli sta attorno. Nell’Eneide di Virgilio, il poeta latino dice che Caronte trasporta le anime sul fiume Stige (VI369), mentre per molti altri, inclusi Pausania e Dante, il demone naviga sull’Acheronte.
Eneide
Caronte viene citato nell'Eneide da Virgilio nel libro VI, per la prima volta al v. 299.

Portitor has horrendus aquas et flumina servatterribili squalore Charon, cui plurima mentocanities inculta iacet, stant lumina flamma,sordidus ex umeris nodo dependet amictus.
Ipse ratem conto subigit velisque ministratet ferruginea subvectat corpora cumba,iam senior, sed cruda deo viridisque senectus.


Eneide VI 298-304


“Caronte custodisce queste acque e il fiume e, orrendo nocchiero, a cui una larga canizie invade il mento, si sbarrano gli occhi di fiamma, sordido pende dagli omeri il mantello annodato. Egli, vegliardo, ma dio di cruda e verde vecchiezza, spinge la zattera con una pertica e governa le vele e trasporta i corpi sulla barca di colore ferrigno."


Divina Commedia


Nella Divina Commedia, troviamo il demone traghettatore nel III Canto, mentre grida con le anime dei dannati e le batte col remo. Caronte cerca di sbarrare il passo a Dante, poiché il poeta è vivo, ma Virgilio, con poche parole, lo tiene a bada.


Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: "Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi a l’altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.
E tu che se’ costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti".
Ma poi che vide ch’io non mi partiva,
disse: "Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
più lieve legno convien che ti porti".
E ’l duca lui: "Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare".
Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che ’nteser le parole crude.
Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme
di lor semenza e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
ch’attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s’adagia.


Divina Commedia, Inferno, III Canto, v. 82-111
Pietro D'onghia









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