I nostri colori

I nostri colori

20 maggio 2009

Gita d'istruzione: Loreto











Gita d'istruzione: Gatteo a Mare - S.Marino
















Gita d'istruzione: il viaggio
















Il Linguaggio dell'Anima




Farò della mia anima uno scrigno
per la tua anima,
del mio cuore una dimora
per la tua bellezza,
del mio petto un sepolcro
per le tue pene.
Ti amerò come le praterie amano la
primavera
e vivrò in te la vita di un fiore.
Sotto i raggi del sole
canterò il tuo nome come la valle
canta l’eco delle campane.
Ascolterò il linguaggio della
tua anima
come la spiaggia ascolta
la storia delle onde…




Antonio Cristantielli

6 maggio 2009

GITA DI CLASSE-VISITA ALLA TOMBA DI DANTE

Gioele Latorre















RAVENNA - SANTA APOLINNARE IL LUOGO DELLA TOMBA DI DANTE

Come si sa, Dante Alighieri è uno dei tre poeti più importanti italiani per la sua celebre opera: “LA DIVINA COMMEDIA”; conosciuta in tutto il mondo. Purtroppo, a causa di motivi politici ed economici,Dante fu esiliato nei pressi di Ravenna, dove dopo la sua morte fu sepolto nella chiesa di Santa Apollinare.













Ma tra questi paesi, Firenze e Ravenna ci sono molte liti a causa del corpo del defunto Dante; Firenze avente la tomba del defunto ma ancora celebre Dante, pretende la restituzione del suo corpo, ma come contro risposta Ravenna rifiuta perché all’epoca Firenze aveva rinnegato Dante ancora in vita, e questo andando a finire a Ravenna, esiliato, dove terminò li la sua vita.




Si può quindi addebitare il classico detto “fa le lacrime di coccodrillo” alla città Fiorentina. Perché? Ma scusate, un poeta celebre come Dante, all’apice della sua carriera poetica/politica doveva essere in un certo senso gratificato dalla sua città nativa (Firenze), che se credeva di più nel potenziale di Dante, così il paese poteva essere ancor più famoso di quello che è.

Pier delle Vigne - XIII canto dell'inferno -


Gianluigi Nerilli
Pier delle Vigne di origini meridionali e di famiglia più che modesta, era nato a Capua attorno al 1190, si trasferì ancor giovanissimo a Bologna, la sapientissima città, per frequentare le scuola di diritto. Soprattutto allora per un ragazzo povero, privo di amicizie e raccomandazioni, doveva essere difficile vivere in un ambiente culturale evoluto, dominato dai nobili e dalla Chiesa. Il suo sogno era quello di raggiungere un incarico universitario, di diventare un insegnante dotto e rispettato, di condurre tutto sommato un’esistenza tranquilla. Ma il destino gli riservava un diverso avvenire.
Terminati gli studi, ebbe la ventura di conoscere e di farsi apprezzare da Federico II, al punto che fu chiamato a Corte e gli fu proposto un incarico nella cancelleria. Da quel momento la carriera del giovane capuano fu tutta in ascesa: all’Imperatore piaceva il suo dotto eloquio, la capacità di scrivere coniugando le situazioni con le conoscenze giuridiche, di interpretare con facilità le problematiche più complicate siano state esse religiose, politiche, economiche, sociali... In breve tempo si affermò in tutti gli ambienti che frequentava: divenne insigne poeta, diplomatico, ministro di Corte; utilizzato nelle missioni diplomatiche più delicate, raggiunse la carica di Logoteta del Regno di Sicilia, in pratica un sorta di viceré durante le ripetute assenze di Federico.
Nel 1247, ormai circa 57enne, il desiderio dello statista illustre e dell’insigne letterato era quello di concludere tranquillamente la carriera quando una notte di febbraio, mentre si trovava a Cremona ,allora la capitale italiana dell’Impero, fu arrestato dalla milizie imperiali e rinchiuso nel castello di Borgo san Donnino (l’odierna Fidenza, in provincia di Parma) come il colpevole di un gravissimo delitto.
Oggi conosciamo con buona approssimazione come Pier delle Vigne morì; meno bene perché fu brutalmente perseguitato e condannato.
Dopo una breve permanenza nel castello di Borgo San Donnino, Pier delle Vigne fu trasferito nella più protetta Rocca di San Miniato. Qui fu tenuto per alcuni giorni nella più rigida segregazione, finché si presentarono a lui tre sinistri aguzzini. Senza falsi preamboli, mentre due di loro lo tenevano fermo, il terzo gli ficcò negli occhi un ago ardente che lo accecò irreparabilmente: forse un modo per farlo tacere, per impedirgli di pensare, di difendersi, di essere un uomo… Una pratica diffusa nel Medio Evo ed in particolare presso la Corte sveva, un terrificante rituale che univa alla sanzione un macabro simbolismo.
Il supplizio non era forse terminato: anzi, è lecito ritenere che le milizie imperiali si preparavano ad esporre al pubblico ludibrio il vecchio Logoteta, quando fu lui a porre fine ai tormenti. Mentre veniva trasferito dalla Toscana, a cavallo, verso una ignota destinazione, riuscì a raccogliere le residue energie e, superata con uno slancio la testa dell’animale, si buttò a capofitto in avanti. Un salto che in condizioni normali non avrebbe creato alcun danno, ma che la sorte benigna volle rendere fatale: egli infatti batté con il capo su una rupe e morì all’istante.
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?

Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
ben dovrebb'esser la tua man più pia,
se state fossimo anime di serpi».

Come d'un stizzo verde ch'arso sia
da l'un de'capi, che da l'altro geme
e cigola per vento che va via,

sì de la scheggia rotta usciva insieme
parole e sangue; ond'io lasciai la cima
cadere, e stetti come l'uom che teme.

«S'elli avesse potuto creder prima»,
rispuose 'l savio mio, «anima lesa,
ciò c'ha veduto pur con la mia rima,

non averebbe in te la man distesa;
ma la cosa incredibile mi fece
indurlo ad ovra ch'a me stesso pesa.

Ma dilli chi tu fosti, sì che 'n vece
d'alcun'ammenda tua fama rinfreschi
nel mondo sù, dove tornar li lece»...

Gita di classe: San Marino

di Pietro D'onghia



Lo stato di San Marino e una delle più antiche repubbliche ancora esistenti, fondata nel 301 da un taglia pietra di nome Marino. Egli, fuggito dalle persecuzioni messe in atto dall’Imperatore Diocleziano, fondò una piccola comunità sul monte Titano. San Marino vanta anche una delle piu antiche costituzioni ancora in vigore; infatti essa risale al XVI secolo.
La leggenda vuole che la signora Felicissima abbia donato il monte a Marino, dopo che l’uomo salvò Verissimo, il figlio della donna. L'indipendenza alla comunità di San Marino viene data da un trattato di pacificazione del 1300, tra il vescovo del Montefeltro e i castelli vicini, tra cui San Marino. Il documento, ritrovato in un convento francescano di Frati Minori, attesta che San Marino è esentato dai tributi. Tuttavia, mentre negli altri castelli l'esenzione è un privilegio concesso dal signore locale, l'esenzione viene rivendicata dalla comunità come un diritto.
Sottoposta al vincolo feudale del Vescovo di San Leo fino al XIIV secolo, quando, dopo essere già stata riconosciuta dalla Chiesa, divenne un libero comune. Già agli inizi del XV secolo, infatti, San Marino partecipò ad una lega ghibellina insieme alle città di Arezzo, Cagli, Forlì, Osimo, Urbino.
Durante il Medioevo e l'età rinascimentale, San Marino sviluppò peculiari istituzioni di autogoverno, che tuttavia si indebolirono a partire dal XVII secolo, quando il potere venne sostanzialmente preso dalle famiglie patrizie. Questa situazione perdurò fino al 1906, quando l'Arengo, l'assemblea dei capifamiglia, avviò un processo di modernizzazione democratica del paese. L'indipendenza del piccolo Stato è stata messa in pericolo più volte in tutta la sua storia. San Marino ha subito tre brevi occupazioni militari: nel 1503 ad opera di Cesare Borgia, nel 1739 con l'occupazione alberoniana e nel 1944 ad opera delle truppe tedesche in ritirata e successivamente dagli Alleati, che lo occuparono per poche settimane.
Durante il Risorgimento, San Marino costituì un rifugio sicuro per molti dei personaggi che parteciparono ai moti di quegli anni. L'appoggio fornito a Garibaldi permise di negoziare e ottenere la garanzia dell'indipendenza dall'Italia. Subito dopo l'Unità d'Italia, il riconoscimento della sovranità venne sancito per un trattato di amicizia.



Tra il 1926 e il 1943 San Marino conobbe un regime fascista, ispirato a quello italiano, che si pose a tutela degli interessi della classe borghese e patrizia.Nonostante ciò, durante la seconda guerra mondiale, San Marino rimase neutrale. In quel periodo accolse oltre 100.000 rifugiati, cosa che portò a non pochi attriti con i governi nazifascisti, i quali arrivarono anche ad incarcerare alcuni cittadini sammarinesi. La neutralità non impedì al paese di essere bombardato e invaso negli ultimi mesi di guerra durante i combattimenti fra angloamericani e tedeschi.
Nel dopoguerra si alternarono governi di sinistra, con la presenza del Partito Comunista, e di centro, supportati dal Partito Democratico Cristiano. L'affermazione di un governo socialcomunista nell'immediato dopoguerra provocò l'inimicizia da parte dei Governi occidentali, in primo luogo di quello italiano. I governi socialcomunisti avviarono importanti riforme socioeconomiche, ma non introdussero mai un modello di tipo sovietico.
Nel 1957, una breve ma seria crisi politica – i cosiddetti fatti di Rovereta – portò alla coesistenza di due governi. La crisi, che s'inquadrava nel contesto internazionale della guerra fredda, si risolse nel giro di un mese e diede avvio ad oltre un ventennio di governi centristi.
Dal dopoguerra il processo di modernizzazione si è tradotto nel consolidamento dell'inserimento di San Marino nella comunità internazionale. Di questa tendenza sono espressione il riconoscimento del voto alle donne nel 1960, la formalizzazione nel 1974 del funzionamento degli organi statuali e dei diritti di libertà con la Dichiarazione dei diritti, l'affiliazione all'ONU nel 1992 e l'adesione alle strategie internazionali di contrasto ai “paradisi fiscali”, tuttora in fase di implementazione.

La Gita di classe





Gardaland è un parco divertimenti dell'Italia Nord Orientale situato in località Ronchi nel comune di Castelnuovo del Garda, nella provincia di Verona.
È adiacente al Lago di Garda pur non affacciandosi su di esso. Si estende su una superficie di 600.000 metri quadrati ed al suo interno si trovano attrazioni meccaniche, tematiche ed acquatiche.

Ha anche una propria struttura ricettiva. Ogni anno viene visitato da più di 2,8 milioni di persone.

Nel giugno del 2005 Gardaland è stato classificato al quinto posto dalla rivista Forbes nella top ten dei parchi di divertimento del mondo con il miglior fatturato.
Da ottobre 2006 il parco è di proprietà dell'azienda britannica Merlin Entertainments.
A cura di
Nicola Montrone

22 aprile 2009

Capitalismo e Comunismo


Gioele Latorre

Durante la guerra fredda, le due superpotenze adottarono due sistemi politici contrapposti al 100%: CAPITALISMO E COMUNISMO.
L’America adottò un sistema Capitalista = Il sistema adottato dagli U.S.A si fondava sulla libera industria cioè basandosi sull’economia del denaro, lasciando ai commercianti libera scelta.
Avendo letto questo, possiamo certamente dire che questo sistema era molto leggero per i cittadini, cioè lasciando libera scelta ai cittadini in molti aspetti.
Totalmente differente era il sistema adottato dall’Unione Sovietica (comunemente siglata all’ epoca U.R.S.S), che per poter sovvenzionare gli scopi, espropriava senza compromessi tutti i beni delle industrie ( e molte altre imprese tipo quelle private) sottomettendo ogni sospetto di ribellione con la forza se necessario. In quell’ epoca la Germania era divisa in due difatti da una parte c’era la Germania Capitalista e dall’altra c’era la Germania comunista. I cittadini oppressi dal giogo comunista, vedendo i vantaggi del capitalismo, iniziarono a trasferirsi nella Germania capitalista.
I politici comunisti, vedendo che stavano perdendo molti cittadini, in una notte eressero un muro che separò la Germania per molti anni( il famoso muro di Berlino); ma la Germania capitalista non si indebolì perché grazie all’aiuto degli Americani (che in poco tempo realizzarono una pista d’ atterraggio) ricevevano viveri e beni di prima necessità;così facendo la Germania capitalista iniziò a riprendersi in poco tempo. Ma i famigliari che si ritrovarono divisi, non potevano tornare dov’erano perché dal muro, appostati e ben nascosti c’erano dei soldati che fucilavano li per li chi cercava di oltrepassare il muro. Tutta questa sofferenza durò fino al 1989 quando il muro fu demolito e la Germania iniziò a stabilizzarsi.

La storia del Gilera


di Giandomenico Scaramuzzi (30m/A)

Gilera è il nome di una azienda italiana che costruisce motociclette e che fa parte del Gruppo Piaggio.Gilera è uno dei più antichi Marchi italiani di moto, essendo stato fondato da Giuseppe Gilera nel 1909 aprendo la sua piccola officina prima a Milano, successivamente nella cittadina di Arcore, in provincia di Monza. La prima moto a portare questo nome fu la VT 317.Dopo la prima guerra mondiale Gilera produce moto da 500 cc di cilindrata e inizia con queste a partecipare ed a vincere nelle più prestigiose competizioni internazionali del tempo.Nel 1936, partendo da un progetto della casa romana CNA Rondine, Gilera presentò l’omonima moto dotata di un quattro cilindri in linea da 500 cc dotato di compressore che stabilì il nuovo Record Mondiale dell’ora (a 274,181 Km/h, record stabilito nel 1937) e conquistò l’alloro nel Campionato Europeo del 1939.Anche per Gilera, come per tutti i costruttori di moto dell’epoca, la seconda guerra mondiale interrompe ogni attività.Nell'immediato dopoguerra (1946) Gilera presenta un altro dei suoi modelli entrati nella storia: la mitica Saturno 500.
La gamma viene completata con diverse moto di piccola e media cilindrata tipo la Nettuno 250 e la 125, maggiorata a 150 e 175 cc.Ma i costi crescenti e le prime avvisaglie della crisi che di lì a pochi anni investì il comparto motociclistico, dovuto all’esplosione del mercato automobilistico, fece sì che Gilera decise nel 1957 il ritiro dalle competizioni, di comune accordo con Moto Guzzi e Mondial.Risale al 1969 l’acquisizione di Gilera da parte del Gruppo Piaggio. La nuova proprietà effettua importanti investimenti su tutta la gamma, soprattutto incentrata sulle attività fuoristradistiche che avevano già dato lustro e gloria alla Casa lombarda.La 125 Bicilindrica Cross ne è il più famoso esempio. Nel campo delle motociclette da strada viene invece presentata la 5V Arcore disponibile in due cilindrate da 125 e 150cc. Continuando col grande successo che ha avuto la Gilera siamo arrivati nel 1990 con la costruzione di altre moto molto potenti .
Ma nel 1993 con l’amara chiusura dello stabilimento di Arcore, necessaria al contenimento dei costi in un mercato che sempre meno premiava la Gilera, termina la commercializzazione dell'innovativo ed originale Gilera Bullit. La produzione viene trasferita presso la casa madre a Pontedera, contemporaneamente si cerca di diversificare la produzione introducendo una gamma di scooter, necessariamente sportivi come il marchio Gilera richiede. Il Gilera Runner (50 cc, 125 cc, 180 cc e 200 cc, sia 2 che 4 tempi) ne è il più fulgido esempio. Il successo della gamma scooter porterà però come necessaria contropartita l’uscita definitiva del marchio Gilera dalle motociclette. Infatti continuera’ la sua produzione con l’ uscita del Nexus e dialtri che si avvicinano alla sua cilindrata fino ad arrivare alla produzione del GP800 con una cilindrata di 800 cc ed una velocita’ massima di 200 km\h veramente impressionante per un motore del genere.

Francesco Petrarca



Gianluigi Nerilli

Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304, da padre notaio in esilio da Firenze. Ad otto anni si trasferì ad Avignone, dove cominciò i suoi studi. A dodici anni fu inviato all'università di Montpellier per gli studi di diritto, e a sedici all'università di Bologna. A ventidue anni, alla morte del padre, tornò ad Avignone. Questo continuo viaggiare lo porta a contatto con diversi ambienti culturali, cosa che gli permetterà di svincolarsi dal municipalismo dantesco e di entrare in una dimensione europea. Petrarca era molto appassionato dei classici antichi, in particolare di Virgilio e Cicerone, la cui lingua aveva a tal punto interiorizzato da scrivere i propri appunti ed esprimere i suoi sentimenti più intimi in latino. Ma allo stesso tempo la sua vita fu condizionata dalla lettura delle Confessioni di S. Agostino, nel cui tortuoso percorso spirituale il Petrarca si riconosceva. Dobbiamo infatti distinguere due produzioni del Petrarca: una in latino, alla quale appartengono le Epistule, il Secretum, l'Africa, il De vita solitaria, e l'altra in volgare alla quale appartengono il Canzoniere e una serie di opere minori. Il 6 aprile 1327 avviene l'incontro con Laura nella chiesa di S. Chiara ad Avignone. Proprio a questa donna, vera o fittizia che sia, si ispirerà tutta l'opera del Canzoniere. Dopo di che per garantirsi un relativo benessere economico senza lavorare, prende gli ordini minori. In questo periodo si svolgono i viaggi che si concluderanno attorno al 1336 con il ritiro in otium in Valchiusa, dove compone il De vita solitaria e altre opere in latino e in volgare. Nel 1341 a questo momento di ricerca spirituale si oppone l'incoronazione di poeta nel Campidoglio, che concretizza il suo forte desiderio di gloria terrena (la stessa Laura può essere intesa come L'aura, ovvero la gloria). Nel 1343 il fratello Gherardo si ritira in convento. Questo causa nel Petrarca una profonda crisi interiore, poiché vedeva nel fratello una sorta di alter ego in cui rispecchiarsi. Ciò lo porta ad una profonda revisione della sua vita, e in particolare emerge sempre più drammatico il dualismo tra il desiderio di amore e di gloria terrena, valori tramandati dalla lettura dei classici, e il desiderio di abbandono spirituale in Dio, insegnatogli dalle Confessioni. Per questo Petrarca è considerato la vittima del passaggio dalla cultura teocentrica medievale alla cultura antropocentrica umanistica. Dopo la morte di Laura nel 1348, Petrarca incomincia la sua peregrinazione nelle corti delle varie signorie italiane, senza mai farsi condizionare o esserne influenzato. Muore nel 1374 a Padova, secondo la tradizione mentre leggeva Virgilio.

Il Canzoniere

Il Canzoniere è un'opera in volgare composta da 366 liriche, di cui 263 composte prima della morte di Laura e 103 dopo la morte. I componimenti sono per lo più sonetti, ma ci sono anche ballate, canzoni, madrigali. Come dice nel sonetto di apertura del Canzoniere, "Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono"questi componimenti non sono collegati fra loro (rime sparse) come quelli di Dante nella "Vita Nova", raccordati da pezzi in prosa. Inoltre essi rispecchiano i vari stati d'animo del poeta, tra illusioni e disillusioni di un amore non corrisposto (come ad esempio nei due sonetti gemelli 61 e 62 "Benedetto sia 'l giorno 'l mese e l'anno" e "Padre del ciel, dopo i perduti giorni", in cui si può vedere una netta contrapposizione degli stati d'animo del poeta). Il tema principale del Canzoniere è l'amore per Laura, ma si potrebbe anche intendere come il desiderio di gloria del poeta poiché il nome Laura si può intendere anche come L'aura, cioè la gloria, poiché con un rametto di lauro viene incoronato il sommo poeta. A differenza del dolce stil novo, in cui il protagonista è lo stato d'animo, in Petrarca è il conflitto interiore del poeta, diviso tra i fini materiali della vita (amore e gloria) e aspirazione al misticismo in Dio. Al contrario della Beatrice di Dante, infatti, Laura non è la donna-angelo veicolo tra il poeta e Dio, ma non è che una nobilissima creatura terrena (in un sonetto viene addirittura descritta da vecchia), e pertanto l'amore verso di lei allontana dalla fede in Dio. Tutta questa esperienza viene ripresa intersecando vari piani temporali: da uomo maturo riesamina col tempo della memoria gli avvenimenti passati confrontandoli con la situazione presente o addirittura facendo previsioni sul futuro.in questo Petrarca è molto moderno: tutta la letteratura del Novecento che utilizza il tempo della memoria di rifà a strutture già usate da lui (Proust, Svevo, Joyce, ecc.). La figura di Laura non è descritta dettagliatamente, ma è semplicemente tratteggiata attraverso i topoi della bellezza proveniente dallo stilnovismo ("bionda", "occhi luminosi come un lago", "capelli d'oro", "viso di perla", "voce soave"), per questo essa in "Chiare fresche e dolci acque" "pare", cioè appare, non è quindi reale. Tutta questa esperienza si conclude con la richiesta di perdono a Dio per questo "giovenile errore", e anzi nella lettera ai posteri Petrarca ringrazia che Dio gli abbia tolto Laura (muore nel 1348) così da permettergli di riprendere a camminare sulla via che porta a Lui.

Chiare fresche e dolci acque

Chiare, fresche e dolci acque,ove le belle membrapose colei che sola a me par donna;gentil ramo ove piacque(con sospir' mi rimembra)a lei di fare al bel fianco colonna;erba e fior' che la gonnaleggiadra ricoverseco' l'angelico seno;aere sacro, sereno,ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse:date udïenza insiemea le dolenti mie parole estreme.
S'egli è pur mio destino,e 'l cielo in ciò s'adopra,ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda,qualche grazia il meschinocorpo fra voi ricopra,e torni l'alma al proprio albergo ignuda.La morte fia men crudase questa spene portoa quel dubbioso passo:ché lo spirito lassonon poria mai in più riposato portoné in più tranquilla fossafuggir la carne travagliata e l'ossa.
Tempo verrà ancor forsech'a lusato soggiornotorni la fera bella e mansueta,e là 'v'ella mi scorsenel benedetto giorno,volga la vista disïosa e lieta,cercandomi: ed, o pieta!,già terra in fra le pietrevedendo, Amor l'inspiriin guisa che sospirisì dolcemente che mercé m'impetre,e faccia forza al cielo,asciugandosi gli occhi col bel velo.
Da' be' rami scendea(dolce ne la memoria)una pioggia di fior' sovra 'l suo grembo;ed ella si sedea umile in tanta gloria,coverta già de l'amoroso nembo.Qual fior cadea sul lembo,qual su le treccie bionde,ch'oro forbito e perleeran quel dì a vederle;qual si posava in terra, e qual su l'onde;qual con un vego erroregirando parea dir: Qui regna Amore
Quante volte diss'ioallor pien di spavento:Costei per fermo nacque in paradiso.Così carco d'oblioil divin portamentoe 'l volto e le parole e 'l dolce risom'aveano, e sì divisoda l'immagine vera,ch'i' dicea sospirando:Qui come venn'io, o quando?;credendo esser in ciel, non là dov'era.Da indi in qua mi piacequesta erba sì, ch'altrove non ò pace.
Se tu avessi ornamenti quant'ài voglia,poresti arditamenteuscir del bosco, e gir in fra la gente.

Tra le tante opere di Petrarca questa e qulla che mi ha colpito maggiormente.In questa canzone il poeta si trova sul fiume Sorga in Valchiusa, e la visione di quel luogo gli fa ricordare Laura, che aveva vista in quel medesimo luogo. Sul filo della memoria descrive Laura, e quell'attimo in cui la viene dilatato nel tempo della memoria (per capirci, ci mette quasi una strofa per descrivere come ha visto Laura in quell'attimo). Inoltre la dolce ragazza non ha più le sue caratteristiche reali ma è stilizzata, cioè il poeta seleziona dal reale gli elementi poeticamente o soggettivamente trasfigurabili, cioè che si adattano allo stato d'animo del poeta: ne risulta una Laura appena tratteggiata, delicata, descritta utilizzando molti topoi della bellezza stilnovista (bionda, occhi luminosi, voce soave, capelli d'oro, viso di perla, ecc.). Anche il paesaggio risulta segnato, cioè perde le sue caratteristiche individuali e reali e acquista quelle di Laura. Abbiamo qui il locus amenus, cioè un paesaggio stilizzato (o segnato) che fa da sfondo ad un personaggio altrettanto stilizzato. E nella seconda strofa della canzone il poeta chiede ad Amore di lasciare riposare, una volta morto, in questo locus amenus, che sembra un porto sicuro per il poeta al momento di affrontare quel passo che gli lascia del timore. Nella terza strofa Petrarca si augura, che una volta morto, Laura, torni, non feroce come quando lo aveva fatto soffrire in vita, ma mansueta, e cercandolo in quel locus amenus veda che egli giace morto lì e asciugandosi gli occhi piangenti chieda al cielo di accogliere l'anima del poeta. Nella quarta strofa il poeta ritorna a viaggiare sul tempo della memoria, che viene definita dolce, e si ricorda Laura, la cui descrizione è appena tratteggiata, sul cui corpo cadono petali di fiori che sembrano quasi dire che il quel luogo regna amore. Per questo il poeta afferma che la donna amata è nata in cielo. Ma pochi versi dopo arriva la presa di coscienza: il viaggio nella sua memoria lo ha allontanato e distaccato dalla realtà, facendogli credere che ci fosse il paradiso là dove effettivamente non è (dove si è posata Laura). La canzone si conclude con l'invocazione al componimento.

UNA GUERRA FREDDA?

di Gioele Latorre


Come, una “guerra fredda”?

Si amici lettori cibernetici, ora vi spiego cosa vuol’ dire il termine “guerra fredda”:
Subito dopo la 2° guerra mondiale, il titano nazista cessò di esistere, e, le uniche due superpotenze che vigevano nel mondo ancora in fase di ricostruzione, erano U.S.A e U.R.S.S:


MONDO OCCIDENTALE = U.S.A (stati uniti d’America)
MONDO ORIENTALE = U.R.S.S (unione repubbliche socialiste sovietiche), che per paura che la superpotenza avversaria attaccasse l’altra, da ambo le parti si iniziò un rapido e sostanzioso rinforzo bellico, chiamato anche corsa agli armamenti.

Ecco il termine “GUERRA FREDDA”: periodo di terrore da parte di tutte e due le superpotenze vigenti all’epoca di essere attaccate.

Abbiamo detto che la Guerra Fredda è stata caratterizzata da un’inspiegabile( da altri punti di vista) “corsa agli armamenti; ma c’è stato un aspetto fondamentalissimo che ha caratterizzato la Guerra Fredda: LE AZIONI DI SPIONAGGIO AMERICANE E SOVIETICHE.


Le due superpotenze per paura di essere spiate, spiavano a loro volta usufruendo di paesi sotto il proprio controllo confinanti col territorio nemico che nel ruolo di “PAESI SATELLITI” spiavano in tutti i modi che potevano, uno di questi erano le organizzazioni segrete che mandavano abili agenti segreti che fornivano informazioni della massima importanza riguardanti la superpotenza nemica, e successivamente si agiva di conseguenza. Un esempio di agente segreto è stata certamente, come tutti sappiamo, la serie di film 007 James Bond, ambientate in quel periodo.

Il terremoto in Abruzzo


Antonio Cristiantelli

I terremoti sono il risultato della liberazione improvvisa delle energie che la crosta terrestre libera per caricare la tensione che si crea con il movimento delle placche tettoniche. La crosta terrestre non è un unico pezzo, ma è formata da tante placche, delle sorte di zattere su cui galleggia la crosta terrestre. Quando queste placche si scontrano si crea una tensione tale che viene liberata sotto forma di onda sismica che noi percepiamo come terremoto.
Il 6 aprile 2009 si è varificata in Abruzzo (Aquila), una delle più grandi tragedie del millennio. Circa trecento morti e duecentocinquanta feriti: questo il bilancio (diffuso da fonti ospedaliere) del terremoto che nella notte tra domenica e lunedì ha colpito l'Abruzzo. Al termine della giornata di lunedì erano 100 le persone estratte vive dalle macerie degli edifici, mentre i morti identificati erano 98, secondo fonti dei soccorritori. Le prime notizie, all'alba, parlavano di una quindicina di persone decedute. Ma è stato subito chiaro che il numero era destinato a crescere con il passare delle ore e con la rimozione delle macerie sotto cui sono rimaste sepolte centinaia di persone sorprese nel sonno.
La scossa principale, di 5,8 gradi della scala Richter, si è registrata attorno alle 3,30. L'epicentro è stato individuato a una decina di chilometri dall'Aquila. Il sisma è stato avvertito in tutto il centro-sud Italia, dalla Romagna a Napoli. Oltre ai morti e ai dispersi, sono almeno 70 mila gli sfollati, intere famiglie costrette ad allontanarsi dalle proprie abitazioni. Una prima stima parla di 10-15 mila edifici danneggiati con pesanti danni al patrimonio storico e artistico della regione. Franco Barberi, presidente onorario della Commissione nazionale grandi rischi, fa sapere che nei prossimi mesi «è poco probabile che si verifichino scosse di grande energia, ma non lo possiamo escludere». Dopo quella devastante della notte, ha aggiunto Barberi, «si sono registrate circa 200 repliche, la maggior parte di piccola magnitudo.
A tutt’oggi si continuano ad avvertire quotidianamente forti scosse, con grande preoccupazione degli abruzzesi accampati nelle tendopoli.

Decameron



Il Decameron, opera di Giovanni Boccaccio, narra la storia di tre ragazzi e sette ragazze di origine aristocratica che si rifugiano in una villa di campagna per sfuggire alla peste che decima la popolazione di Firenze. Trascorrono in questa villa due settimane, passate a cantare e a danzare, tranne il sabato e la domenica, occupate dalle funzioni religiose.
Per occupare più lietamente le ore del pomeriggio, i giovani decidono di raccontarsi delle novelle, una a testa ovvero dieci al giorno. Ogni giorno, inoltre, ha un tema diverso, scelto dal re o dalla regina di turno.
I temi che ricorrono nell’opera sono le storie a lieto fine nella seconda e terza giornata, l’amore infelice nella quarta giornata, l’amore felice nella quinta, i motti di spirito nella sesta, le beffe nella settima e nell’ottava, temi liberi nella prima e nella nona, mentre la decima e dedicata all’esaltazione dei valori di libertà e cortesia.
L’Opera risulta così composta da cento novelle, raccontate in dieci giornate. Le novelle, inoltre sono precedute da un proemio, dedicato al pubblico femminile, e una descrizione dello stato di Firenze durante la peste.
Il tema principale del Decameron e l’amore, proposto in tutte le sue forme, da quelle fisiche a quelle sentimentali. Rispetto a Beatrice, la donna proposta da Boccaccio e descritta anche fisicamente, mentre Dante ne elenca solo le qualità morali.

Il Decameron, oltre ad essere la prima opera narrativa di pregio italiana, segna l'avvio di quella nuova espressione artistica chiamata umanesimo-rinascimento.

L'autore, con grande realismo narrativo, fa un affresco su tutte le tipologie emotive umane: il povero, il ricco, l'umile, il superbo, il paziente, l'iracondo, l'innamorato, il suicida, l'assassino, lo sciocco, l'approfittatore...

Per la prima volta nella letteratura, l'uomo diventa l'oggetto privilegiato dell'indagine, libero dai legami divini.


Pietro D'onghia

http://www.youtube.com/watch?v=yyWt6U_SrIo

25 marzo 2009

Gioco di luci

L'arco di fuoco: racconto fantastico





Nell’epoca di draghi, maghi e cavalieri, in una casupola dispersa nella foresta,viveva un povero ragazzo con i suoi genitori ormai anziani. Costui si chiamava Bred, era impulsivo ma aveva in mente dei buoni propositi. Un giorno, mentre andò a raccogliere la legna, trovò nel bosco una povera cerva con la zampa incastrata in una tagliola; preso dal suo amore per la vita la liberò facendola scappare, ma non si accorse che il cacciatore stava venendo da quella parte.
Arrivato, gridò: -Ehi!Ragazzo! Come ti sei permesso di far scappare la mia colazione?
-A questa malvagia esclamazione lo spaventato Bred iniziò a balbettare: -Em…io veramente…-All’improvviso Bred diede un forte pugno al cacciatore che dal dolore stava per piegarsi in due, mentre Bred iniziò a scappare a gambe levate, ma il cacciatore lo afferrò dalla gamba tirandolo a sé,lo immobilizzò dicendogli:
-Povero stolto! Credevi forse che con un banale pugno potevi mettermi fuori gioco?
-Dalla rabbia il cacciatore sfoderò il suo coltellaccio e stava per uccidere Bred.Ma proprio quando ogni speranza sembrava perduta, il cacciatore finì di testa nella tagliola e morì. Quando l’agitato Bred si alzò, vide che ad avergli salvato la vita era stata la cerva da lui liberata. Per l’agitazione Bred svenne. Una volta ripreso,si ritrovò all’interno di un’ampia grotta che in fondo sfociava in una foresta.-Dove diavolo sono ?Ah! guarda quanto cibo!Ho veramente fame!
Disse Bred nel vedere una tavola imbandita e dall’interno di una foresta una dolce voce disse a Bred:-Serviti pure. Dopo raggiungimi qui.-Dopo essersi rifocillato a dovere, Bred si alzò e si diresse nella foresta. Con sua grande sorpresa vide sempre quella cerva che si allontanava all’interno della foresta.-Aspetta!-Gridò Bred che iniziò a seguire quella cerva.
Una volta arrivato al centro di quella mistica foresta, Bred notò che al posto di quella cerva,c’era un’affascinante donna vestita solo con foglie di fico.-MA, ma chi siete voi?
Salve giovane Bred sono Alisya,la dea della natura;ero uscita per vedere a malincuore come stanno rovinando il mio operato.-Ma così hai rischiato la vita!-E tu credevi che una semplice tagliola potesse uccidere una dea?Era tutto un piani per attirarti da me!-Per cosa?
Caro giovane Bred,tu sei destinato a grandi cose.-Ma io sono solo un ragazzo e poi ho i miei genitori anziani a cui badare!-No figlio mio,ora è il momento che tu sappia la verità!-Padre,madre,come avete fatto a venire fin qui da soli?-Questo non ha importanza caro figlio. Devi sapere che noi non potevamo avere figli;essendo disperati, venimmo a chiedere aiuto alla qui presente dea Alisya che ci fece trovare te nella vecchia quercia,ma ad una condizione:Una volta pronto, saresti venuto qui e saresti diventato il paladino della qui presente dea.-Ma voi madre,perché mi avete tenuto segreto tutto questo?-Credevo che da ragazzino,essendo molto più impulsivo di oggi, ti saresti tirato indietro.-Avete ragione,e questa cosa di fare l’eroe mi piace.-Non correre troppo,salutati con i tuoi,devo dirti alcune cose molto importanti.-Disse la dea Alisya a Bred che andò a salutare la sua famigli,dicendo:
-Grazie di tutto quello che avete fanno per tutti questi anni; vorrei ricambiare tutti i vostri sacrifici,ma non so come!-Non ha importanza. Bred, basta sapere che d’ora in poi farai la cosa giusta,che difenderai il bene. Addio Bred! Ricordati di noi!- Dissero i genitori di Bred che se ne andarono.-Cosa dovevi dirmi,dea Alisya?-Bred,vieni con me.-Disse la dea che condusse Bred sulle sponde di un grande lago dicendogli-Vedi Bred,questo è il lago sacro.-Lo conosco,la leggenda narra che chiunque può riavere la vita se si immerge e un'altra persona fa un giuramento e si impegna a mantenerlo.-Non è una leggenda.
Da qui siamo state create io e mia sorella Anaktra,la dea del male. Tempo fa volle impadronirsi del lago per usare l’immenso potere per i suoi malvagi scopi.-Fammi indovinare:Voleva impadronirsi della terra per regnarvi.-Già. Riuscì a fermarla ma ora sta tornando con un enorme esercito.-Bè fermala di nuovo.-Non è così facile. Ho consumato metà del mio potere per questo.
-Disse la dea che iniziò a dire una strana formula magica e dal centro dell’lago comparve un fantastico arco rosso composito con la corda fiammeggiante.-Questo sarà la tua arma.-E’ fantastico!-Ma prima di usarlo devi superare una difficile prova:Devi andare nel vicino regno di Talan e devi uccidere l’erede al trono,il giovane principe Rid,sarà facile,ha 12 anni.-Ma stai scherzando? Ha fatto qual’cosa di male?-No!
Ma non mettere mai più in discussione i miei ordini!-Ma come fai a parlare?Tu che difendi la pace,preferisco morire!-Peccato!Avresti ottenuto tanto da me!-Gridò la dea che lanciò un potente raggio sull’arrabiato Bred,ma non accadde niente.-Non mi è successo niente!-Credevi che volevo veramente la morte di quel ragazzino?Era questa la prova:volevo costatare se veramente eri di cuore puro. Lo sei più di chiunque altro!
Tieni,questo è tuo.-Disse la dea lanciando lo strabiliante arco a Bred che era ancora un po’ sconvolto.-Ora vuoi iniziare l’allenamento?-Certo dea!-Disse bred che iniziò ad’allenarsi con la dea per imparare magie,mosse speciali colpi con l’arco e lotta.
Passarono molti giorni e Bred diventò un guerriero fortissimo. Ma Bred iniziava a provare sentimenti molto profondi per la dea Alisya,ma non sapeva come dirlo alla suddetta dea. Un giorno,mentre i nostri due combattenti si allenavano,caddero uno addosso all’ altro rotolando su di loro. Quando si fermarono,Bred riuscì a dire:Alisya,io mi sono perdutamente, follemente innamorato di te.-Vedi Bred,-Rispose la dea togliendosi di sopra a Bred e sedendosi affianco:-Anche io sono innamorata di te fin dal primo momento in cui ti ho visto,ma come sai abbiamo una priorità molto più importante;ti prometto sul nostro amore che quando tutta questa storia sarà finita,e se vinceremo ci sposeremo.-E dopo questo i due si baciarono.
Il giorno dopo, quando la dea si alzò, vide che vicino al suo letto e a quello dell’ormai fidanzato Bred c’era ogni genere di frutta colta e pronta per essere mangiata.-Ti piace,mia cara?-Disse Bred avvicinandosi con un enorme mazzo di fiori porgendolo alla dea Alisya appena alzata.
Dopo di che continuarono l’allenamento e Bred imparò una tecnica capace di manipolare il fuoco che gli permetteva di poter uccidere una dea.-Mi raccomando,usa questa tecnica solo per uccidere mia sorella Anaktra.-Solo in caso di emergenza,non preoccuparti.-Disse Bred. Arrivò finalmente il giorno della battaglia,e la dea Alisya disse a Bred:-Che ne dici se facciamo partecipare anche gli eserciti dei regni che incontriamo che vogliono rendersi utili?-D’accordo,ma solo a combattere con gli eserciti di tua sorella;al combattimento finale ce la dobbiamo vedere solamente noi.-Sono pienamente d’accordo.-Forza allora andiamo!-Disse Bred che con la fidanzata Alisya si mise in cammino e, come pattuito,facevano la richiesta di combattimento a tutti i regni che incontravano;in pochi giorni di cammino riuscirono a raggruppare un enorme esercito fortissimo.
Dopo molti giorni di cammino, giunsero nei pressi della fortezza della malvagia dea Anaktra.-Io vado a spiare quella fortezza.- Bred,stai attento.-Disse la dea Alisya.-Noi veniamo con te!-Dissero due principi di due regni.-Siete sicuri di quello che fate?potrebbe essere pericoloso.-Credi che ad avere trucchi magici e segreti sia solo tu?-D’accordo,ma mi raccomando. Seguite sempre me!- Si!-Dissero i due principi che con Bred si allontanarono.
Arrivati vicinissimo alla fortezza, i nostri tre si divisero. Perfino Bred si spaventò nel vedere che l’esercito avversario era formato dai più terribili guerrieri di tutto il mondo: arpie,draghi,giganti minotauri e alti mostruosi esseri. All’improvviso si sentirono le grida di alcune guardie malvagie:-Siamo sotto attacco!-Principi! Ritiriamoci!-Gridò Bred che si diresse in fretta e furia all’accampamento.
Quando vi arrivò,vide che i due principi erano già lì,e ridevano.-Ma come fate a ridere?-Tranquillizzati,Bred,noi siamo maghi;abbiamo creato un bell’esercito e l’abbiamo mandato a combattere, così abbiamo più tempo per studiare una strategia efficace.-Mi avete fatto prendere un colpo!Credevo che qualche esercito era scappato da qui e stava assediando la fortezza.-Scusaci,di non averti avvertito.-Non fa niente,bene!Chiamate gli altri re!dobbiamo studiare subito una strategia forza!-Disse Bred;quando i re arrivarono,Bred disse:-Allora,che ne dite se ci dividiamo in tre parti e attacchiamo in tre diversi punti?-E tutti i re annuirono positivamente.-Allora due re con l’esercito delle catapulte attaccheranno a sud,i principi all’lato ovest,e io,Alisya e il resto dell’esercito con le “lancia-massi” attaccheremo a nord.
Ci vedremo all’entrata della fortezza.-Quando partiamo?-Chiese un principe e Bred disse:-All’alba!-E intanto l’esercito avversario stupidamente lottava contro il magico esercito creato dai principi.L’alba era arrivata,e ora l’enorme truppa d’assalto di Bred,e della dea Alisya, marciava.-Maestà! un’enorme esercito ci assale!-Un altro?Forza raggruppate le truppe! –Disse la dea Anaktra un po’ innervosita. Come stabilito,gli eseciti, divisi in tre,attaccarono nei 3 punti.
Mentre la battaglia infuriava,Bred,e la dea Alisya grazie alle “lancia-massi”riuscirono a penetrare all’interno della fortezza.-Lasciami i soldati,tu vai da tua sorella,io ti raggiungerò dopo.-D’accordo,Bred,stai attento!-Disse la dea Alisya,che si separò da Bred che col suo esercito,iniziò a fare piazza pulita dell’esercito nemico,grazie a delle tecniche magiche (e altri tipi)-Posso lasciarvi?Alisya ha bisogno di me!-Vai Bred!-Disse un principe che era con lui;mentre si allontanava,Bred si tranquillizzò vedendo che il resto dell’esercito era riuscito a penetrare da tutti i lati.-Ci rincontriamo cara sorella!-Disse Anaktra quando vide la sorella che si faceva strada verso di lei uccidendo senza pietà tutti quelli che gli si opponevano .E iniziò il tanto atteso scontro tra le due dee. Colpi,raggi,e magie micidiali animavano lo scontro;,ma la dea Anaktra giocò sporco,e mise in seria difficoltà la sorella Alisya.
Finalmente arrivò Bred,che col suo arco infuocato,fece fuori le restanti guardie che attaccavano la dea Alisya.-Bene!
Ti sei fatta un eroe ,ma non ti servirà..Golem!-Disse la dea Anaktra,ed ecco che dalle macerie spuntò un enorme golem di pietra che mise in seria difficoltà Bred che poteva a malapena difendersi,e stava quasi per essere sconfitto.-Bred!No!-Gridò la dea Alisya che,messa fuori combattimento per un po’ la dea Anaktra si mise a correre verso Bred per aiutarlo,ma la dea Anaktra, ripresasi,colpì con tutta la magia che aveva alle spalle la sorella Alisya uccidendola.-Alisya!No!-Gridò Bred che animato dal suo amore per la dea ormai uccisa,si liberò dalla morsa del golem,e scagliò verso di lui una moltitudine di frecce,polverizzandolo una volta per tutte .
Ora a noi strega maligna!-Gridò Bred che per la prima volta stava, adoperando la sua tecnica proibita;assorbendo dentro di se il suo arco infuocato,si avvolse completamente dalle fiamme,e usando tutto quel potere al massimo,uccise la dea.
Intanto tutto l’esercito aveva sconfitto i soldati malvagi,facendone scappare alcuni.-Abbiamo vinto!-Girdò un principe arrivato da Bred,ma si spaventò vedendo che la dea Alisya era morta tra le braccia di Bred.Ci vedremo alla foresta!Se volete venire sarete bene accetti.-Ma la dea è morta,Bred.- Non preoccupatevi,principe,ho in mente una soluzione.-D’accordo,allora vediamoci alla foresta!-disse un principe e Bred inziò a cavalcare velocemente verso la suddetta foresta con l’orma morta dea Alisya.
Arrivato, si diresse in fretta e furia verso il lago sacro;mise il corpo della dea Alisya al contro del lago, e pregò il lago sacro:-Lago sacro,tu che doni potere e vita a chi vuoi,ti prego di ridare la vita alla mia amata,anche a costa della vita mia stessa.-E come Bred chiese,la dea Alisya ritornò in vita ma lui perse la sua vita.-Bred,hai sacrificato la tua vita per me. Ora io ti ridò la vita.-Disse la dea Alisya che ridando la vita al suo amato,ritornò felice.-Una volta usciti dal lago,Bred disse:- Grazie.
Ora sposiamoci!-Si! Sono d’accordo,mio amato.-Disse la dea e i principi e i re,entrati nella foresta,portarono moltissimi dono come ringraziamento per l’aiuto dato in battaglia.-Eravamo sicuri che avresti fatto la cosa giusta.-Madre! Padre! Siete venuti anche voi!-Disse Bred contento di rivedere i suoi genitori.
Dopo di che,ci furono le nozze e un grande festa. Quasi alla fine,la dea Alisya disse a Bred:-Caro mio sposo,tu mi hai ridato la vita,haio rischiato la vita per proteggermi in battaglia,io ora ti dono l’immortalità come pegno del mio amore per te.-E tutti vissero felici e contenti in pace con tutti gli altri regni. E’ proprio vero: IL BENE VINCE SEMPRE SUL MALE.



Latorre Gioele

11 marzo 2009

La fazione dei Ghibellini: X Canto dell'Inferno

Gioele Latorre


Dante nel X Canto parla di un personaggio appartenuto alla sua città: Farinata ,il capo dei ghibellini, la fazione avversaria a quella di Dante. Costui, meglio noto come Farinata degli Uberti per via dei suoi capelli biondo platino (Firenze, ... – 11 novembre 1264), figlio di Jacopo degli Uberti, fu un nobile ghibellino, membro di una famiglia molto nobile di Firenze dell’epoca.
Il XIII secolo, fu una delle epoche peggiori per la città toscana, tormentata da discordie interne tra guelfi e ghibellini. Dal 1239, Farinata è a capo della consorteria di parte ghibellina, svolgendo un ruolo importantissimo nella cacciata dei guelfi avvenuta pochi anni dopo, nel 1248.
I ghibellini dopo tante lotte(infine vinte dai guelfi) furono poi esiliati. Anche dopo morti dovettero subire una malvagia vendetta da parte dei guelfi: infatti nel 1283, 19 anni dopo la morte, i corpi di Farinata e sua moglie Adaleta subirono a Firenze un processo pubblico per l'accusa (postuma) di eresia. Per l'occasione i loro resti mortali, sepolti in quell’epoca nella chiesa fiorentina di Santa Reparata, vennero riesumati per la celebrazione del processo, conclusosi poi con la condanna. Infine,come ulteriore malvagità, tutti i beni lasciati in eredità da Farinata vennero confiscati agli eredi.
L’accusa fondata d'eresia non è certa ancora oggi: l'accusa mossa alla fazione ghibellina di Firenze, per la quale vennero considerati eretici Farinata e sua moglie, in realtà riguardava la contestazione della supremazia religiosa della Chiesa. Ma la fazione cui Farinata apparteneva ne contestava solamente l'ingerenza politica, reclamando una suddivisione tra potere spirituale e potere temporale. La confusione venne probabilmente aumentata dalla propaganda della fazione guelfa di Firenze, pronta a sfruttare a proprio vantaggio l'accusa d'eresia. Tuttavia alcuni studiosi sostengono che farinata fosse vicino all'eresia catara.
Gli Uberti, comunque, vennero esclusi da qualsiasi amnistia, e l'odio dei guelfi fiorentini si focalizzò su di loro.
Infatti nel canto X dell'Inferno, Farinata è collocato tra gli eretici epicurei che l'anima col corpo morta fanno (v.15), ovvero non credono nell'immortalità dell'anima. Tra lui e Dante, avversario politico, si svolge un colloquio al cui centro ricadono i temi della lotta politica e della famiglia (in particolare quello delle colpe dei padri che ricadono sui figli: un tema caro al poeta, che avrebbe potuto far revocare l'esilio ai figli maschi se avesse voluto far ritorno, umiliandosi e chiedendo perdono a Firenze).





QUALCHE ACCENNO SU GUIDO CAVALCANTI(E ORIGINI)
Guido Cavalcanti, figlio di Cavalcante dei Cavalcanti, nacque a Firenze intorno all'anno 1255 in una nobile famiglia guelfa di parte bianca che nel 1260 fu travolta dalla sconfitta guelfa di Montaperti. Sei anni dopodopo la disfatta dei ghibellini nella battaglia di Benevento, i Cavalcanti ripresero la loro preminente posizione sociale e politica a Firenze. Nel 1267 Guido si sposa con Bice, figlia di Farinata degli Uberti, capo della fazione ghibellina. Da Bice Guido avrà i figli Tancia e Andrea. Nel 1280 Guido è tra i firmatari della pace tra guelfi e ghibellini e quattro anni dopo siede nel Consiglio generale al Comune di Firenze insieme a Brunetto Latini e Dino Compagni. Il 24 giugno 1300 Dante Alighieri, priore di Firenze, è costretto a mandare in esilio l'amico Guido con i capi delle fazioni bianca e nera in seguito a nuovi scontri. Cavalcanti si reca allora a Sarzana e si pensa che fu allora che scrisse la celebre ballata Perch'i' no spero di tornar giammai. Il 19 agosto gli è revocata la condanna per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute (ha forse contratto la malaria). Il 29 agosto muore, pochi giorni dopo essere tornato a Firenze.
È ricordato - oltre che per i suoi componimenti - per essere stato citato da Dante (del quale fu amico assieme a Lapo Gianni) nel celebre nono sonetto delle Rime "Guido, i'vorrei che tu, Lapo ed io". Dante lo ricorda anche nella Divina Commedia (Inferno, canto X e Purgatorio, canto XI)

Opere
I componimenti pervenutici di Cavalcanti sono 52, tra cui 36 sonetti, 11 ballate e 2 canzoni. I temi delle sue opere sono quelli cari agli stilnovisti; in particolare la sua canzone "manifesto" Donna me prega è incentrata sugli effetti prodotti dall'amore, che scinde la personalità dell'innamorato in spiritelli, che attraverso gli occhi, vanno a risiedere nella parte sinistra del cuore. Questi spiritelli rendono l'innamorato incapace di pensare e poter eleborare la realtà in quanto viene modificata dalla visione sofferente datagli dall'amore incorrisposto. La donna, avvolta come da un alone mistico, rimane così irraggiungibile e il dramma si consuma nell'animo dell'amante.
Rispetto a Guinizzelli e a Dante si nota l'assenza della concezione religiosa; la donna infatti non è tramite verso Dio e l'amore, anziché strumento di elevazione dell'anima, è soprattutto angoscia e sbigottimento.
Il poetare di Cavalcanti, dal ritmo soave e leggero che può sembrare banale, nasconde in realtà una grande sapienza retorica.



Come si nota in figura, quando Dante incontra il padre di Guido Cavalcanti,Calcante Cavalcanti, viene un po’ per così dire insultato ,perché secondo il padre,visto che il figlio(Guido)era già molto più famoso di Dante(quale poeta)non sapeva darsi risposta di dove si potesse trovare. Si può dire anche che, analizzando la figura , Cavalcante Cavalcanti, quale orgoglioso capo dei ghibellini,sdegna già con lo sguardo Dante(appartenente ai guelfi;fu infatti a causa loro se egli e tutti i suoi sostenitori furono esiliati)disprezzandolo.

La scelta della Repubblica in Italia



Gianluigi Nerilli


Il 2 giugno 1946 il popolo italiano sceglieva la nuova forma di stato: nasceva la repubblica ed il Re, Umberto II di Savoia, accettava il responso delle urne ed andava in esilio abbandonando l’Italia evitando così, e ciò va a suo merito personale, di creare tensioni e fratture nel Paese.
Con la partenza del giovane Umberto se ne andava la Casa Savoia, una dinastia inetta e che, nei momenti cruciali della storia patria, aveva sempre compiuto le scelte peggiori: dalla modalità dell’unificazione nel 1860 alla sciagurata condotta della II Guerra Mondiale, passando per la crisi autoritaria di fine ottocento (Leggi Umberto), la Grande Guerra e, soprattutto, gli atteggiamenti favorevoli (leggi Vitt. Eman. III) ed accondiscendenti avuti nei confronti di Mussolini e del fascismo.
Il contestato plebiscito del 2 giugno 1946 aprì una nuova fase nella storia italiana: al Quirinale non vi era più un monarca ereditario ed a vita, ma un Presidente democraticamente eletto con un mandato settennale con chiari e precisi limiti temporali.
Il sogno di Mazzini e di tutti i democratici del Risorgimento si era avverato: l’Italia era diventata una Repubblica con una Costituzione democratica redatta ed approvata da un’Assemblea Costituente liberamente eletta dal popolo sovrano.
Per poco più di dieci giorni, nel giugno del 1946, il Presidente del Consiglio ALCIDE DE GASPERI fu anche “Capo Provvisorio dello Stato facente funzioni” con il compito di rappresentare l’unità nazionale fino all’elezione, da parte dell’Assemblea Costituente, di un Capo dello Stato.
Come ha ricordato l’onorevole NILDE IOTTI, una delle più giovani costituenti, colui che avrebbe dovuto ricoprire tale carica doveva soddisfare le tre seguenti determinanti condizioni: doveva essere gradito a tutti e tre i grandi partiti di massa (la Democrazia Cristiana, i socialisti ed i comunisti), che il 2 giugno avevano raccolto oltre l’85% dei voti, doveva essere un notabile liberale che avesse espresso, prima del referendum istituzionale, la propria preferenza per l’opzione monarchica in modo da rassicurare gli oltre dieci milioni di elettori italiani sostenitori di Umberto II, ed infine doveva essere di un uomo politico meridionale, in modo da controbilanciare la forte presenza di politici settentrionali di nascita (il trentino “prestato all’Italia” ALCIDE DE GASPERI, il piemontese PALMIRO TOGLIATTI ed il romagnolo PIETRO NENNI) o di adozione (il siciliano-milanese UGO LA MALFA) presenti alla guida dei principali partiti politici democratici ed antifascisti che accingevano a confrontarsi sulla scena politica ed a guidare l’Italia nel lungo cammino della ricostruzione morale ed economica.
Inizialmente i candidati corrispondenti alla descrizione precedentemente espressa erano due: l’ex Presidente del Consiglio VITTORIO EMANUELE ORLANDO, sostenuto dai democristiani e dalle destre, ed il padre del neoidealismo e del liberalismo italiano, il filosofo Benedetto Croce, gradito alle sinistre ed ai laici.
Per superare le reciproche opposizioni e dare velocemente un Presidente, seppur provvisorio, alla neonata Repubblica, De Gasperi, Nenni e Togliatti si accordarono sul nome dell’ex Presidente della Camera prefascista, l’insigne giurista liberale originario di Torre del Greco ENRICO-DE-NICOLA che ricoprì la massima carica repubblicana dal giugno del 1946 all’inizio del 1948 quando entrò in vigore la nuova Costituzione della Repubblica Italiana che egli stesso aveva promulgato.
Successore di De Nicola fu un altro liberale di simpatie monarchiche, ma di origini piemontesi ed esperto di economia (fu infatti il padre del cosiddetto miracolo economico italiano), il senatore LUIGI EINAUDI che venne eletto con i voti dei soli partiti centristi governativi (DC, PSLI, PLI, PRI) dopo il tramonto della candidatura del repubblicano conte Carlo Sforza, sostenuto da De Gasperi, ma avversato dai dossettiani per le sue simpatie massoniche.

La Costituzione



Nicola Montrone


Nel 1861 fu proclamata la nascita di un nuovo Stato europeo: il Regno d'Italia.
18 GIUGNO 1946 - L'Italia diventa per scelta di popolo ufficialmente una repubblica democratica.

L’Assemblea Costituente ha ora il compito di elaborare il testo della Costituzione. 26 GIUGNO 1946 - Il discorso inaugurale di Saragat all’assemblea costituente: ...Fate che il volto di questa repubblica sia un volto umano.

Ricordatevi che la democrazia non è soltanto un rapporto fra maggioranza e minoranza, non è soltanto un armonico equilibrio di poteri sotto il presidio di quello sovrano della nazione, ma è soprattutto un problema di rapporti fra uomo e uomo. Dove questi rapporti sono umani, la democrazia esiste; dove sono inumani, essa non è che la maschera di una nuova tirannide" (Ag. Ansa, ore 12.00)22 DICEMBRE 1947 - Il presidente proclama solennemente : "L'assemblea approva la costituzione della Repubblica Italiana".Voti a favore 453,Voti contro 62.27 DICEMBRE 1947 - A palazzo Giustiniani, viene firmato l'atto di promulgazione della nuova Carta Costituzionale della Repubblica Italiana che entrerà in vigore il 1° gennaio 1948.
La Costituzione di un'organizzazione definisce la sua forma, struttura, attività, carattere e regole fondamentali. Il termine deriva dal latino constitutio, che faceva riferimento ad una legge di particolare importanza, solitamente emanata dall'imperatore ed è tutt'ora usato nel diritto canonico per indicare decisioni rilevanti prese dal papacome, su tutte, la costituzione apostolica che fissa il regime da seguire durante il periodo di sede vacante e per l'elezione, nel successivo conclave, del nuovo vescovo di Roma.La costituzione di un'organizzazione definisce la sua forma, struttura, attività, carattere e regole fondamentali. Il termine deriva dal latino constitutio, che faceva riferimento ad una legge di particolare importanza, solitamente emanata dall'imperatore ed è tutt'ora usato nel diritto canonico per indicare decisioni rilevanti prese dal papa come, su tutte, la costituzione apostolica che fissa il regime da seguire durante il periodo di sede vacante e per l'elezione, nel successivo conclave, del nuovo vescovo di Roma. Alcune costituzioni sono protette contro modifiche, nel senso che per la loro modifica richiedono un procedimento legislativo gravato da maggiori oneri procedurali rispetto alla leggi ordinarie.
Nelle costituzione troviamo 139 articoli, e 18 disposizioni transitorie e finali, sono qui riportate i primi 4 articoli :
· Art.1.
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
· Art. 2.
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
· Art. 3.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
· Art. 4.
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

...

Il Giudice degli Inferi: Minosse




Pietro D'onghia


Con il nome Minosse, si fa riferimento ad un personaggio della mitologia greca, nato dall’unione di Zeus ed Europa. Minosse fu re giusto e saggio di Creta. Per questo motivo, dopo la sua morte, divenne uno dei giudici infernali, insieme a Eaco e Radamanto. Secondo altre fonti, invece, era estremamente crudele. Si racconta che, in seguito alla morte del re Asterione, padre adottivo di Minosse, egli costruì un altare a Poseidone, per dimostrare il suo diritto alla successione al trono. Inoltre Minosse pregò il dio perché inviasse sulla spiaggia un toro da sacrificare. Poseidone esaudì la richiesta, ma Minosse non sacrificò l’animale perché lo riteneva troppo bello. Poseidone, adirato, si vendicò dell’offesa facendo innamorare dell’animale Pasifae, moglie di Minosse. Dalla loro unione nacque il Minotauro, mezzo toro e mezzo uomo. Così Minosse fece costruire da Dedalo il labirinto, in cui il mostro sarebbe stato rinchiuso. Minosse ebbe 8 figli: Catreo, Deucalione, Glauco, Androgeo, Acalla, Senodics, Arianna, Fedra. Il regno di Minosse fu caratterizzato da ampi scontri con i popoli vicini, che egli riuscì ad assoggettare.Combatté anche contro Niso, re di Megara, che aveva un capello d'oro a cui era legata la sorte della sua vita e della sua potenza. La figlia di Niso, Scilla, si innamorò al primo istante di Minosse e non indugiò ad introdursi nottetempo nella camera del padre per tagliargli il capello d'oro. Andò in seguito da Minosse offrendogli le chiavi di Megara e chiedendogli di sposarla. Minosse conquistò Megara ma rifiutò di sposare la ragazza, che per la disperazione si annegò. Minosse attaccò anche Atene, dopo l'assassinio del figlio Androgeo, causato dal re Egeo. Sconfitti gli ateniesi, Minosse chiese ad essi in tributo la consegna annua di sette fanciulli e sette fanciulle, che venivano date in pasto al Minotauro. Questa imposta trovò fine quando Teseo, con l’aiuto di Arianna, uccise il mostro. Secondo il mito Minosse fu ucciso in Sicilia, mentre era ospite nella rocca del re Cocalo.


Minosse in Letteratura


La figura di Minosse viene rappresentata da molti autori di opere epiche del passato, tra cui Dante. Minosse si trova all'entrata del II Cerchio perché le anime del I Cerchio non hanno peccati da confessare e non vengono giudicate. Nella mitologia Dantesca, a Minosse è dato il compito di ascoltare i peccati delle anime, le quali nulla nascondono al demone. Uditi i peccati Minosse comunica loro la destinazione all'interno dell'inferno, arrotolando la coda di serpente di tante spire quanti sono i cerchi di destinazione.


“Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l’intrata;
giudica e manda secondo ch’avvinghia.
Dico che quando l’anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata
vede qual loco d’inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
dicono e odono e poi son giù volte.”


Divina Commedia; Inferno, V Canto, v. 4-15

Il Traghettatore di Anime Dannate: Caronte



Nella mitologia greca e romana, Caronte (in greco Χάρων, "ferocia illuminata"; Charun secondo gli etruschi) era il traghettatore dell'Averno o Ade. Il suo compito era di traghettare le anime dei defunti da una riva all’altra dell’Acheronte. Caronte, inoltre, accompagnava solo le anime di cui i cadaveri avevano gia ricevuto gli onori, mentre, secondo un’altra versione, trasportava solo quelli che potevano pagare il viaggio (obolo). Chi non riusciva a pagare l’obolo, era condannato a vagare nella nebbia sulla riva del fiume per cento anni. Nell’Antica Grecia, era tradizione mettere sotto la lingua del defunto alcune monete, di solito d’argento. Questa usanza è scomparsa in epoche recenti, ed ha origini antichissime. Alcuni autori sostengono che il prezzo dell’obolo era di due monete, poste sopra gli occhi del defunto al momento della sepoltura. Nessuna anima ancora in vita era stata trasportata dall’altra parte del fiume Acheronte, tranne gli eroi Enea, Teseo, Ercole e Orfeo, Deinofobe e Psiche. Secondo la mitologia, Caronte è il figlio di Erebo e Notte, ed appare in grandi opere letterarie del passato, come l’Eneide di Virgilio e la Divina Commedia di Dante. Fa la sua apparizione anche nel V Secolo, nella commedia “Le Rane”, di Aristofane, in cui impreca e urla contro chi gli sta attorno. Nell’Eneide di Virgilio, il poeta latino dice che Caronte trasporta le anime sul fiume Stige (VI369), mentre per molti altri, inclusi Pausania e Dante, il demone naviga sull’Acheronte.
Eneide
Caronte viene citato nell'Eneide da Virgilio nel libro VI, per la prima volta al v. 299.

Portitor has horrendus aquas et flumina servatterribili squalore Charon, cui plurima mentocanities inculta iacet, stant lumina flamma,sordidus ex umeris nodo dependet amictus.
Ipse ratem conto subigit velisque ministratet ferruginea subvectat corpora cumba,iam senior, sed cruda deo viridisque senectus.


Eneide VI 298-304


“Caronte custodisce queste acque e il fiume e, orrendo nocchiero, a cui una larga canizie invade il mento, si sbarrano gli occhi di fiamma, sordido pende dagli omeri il mantello annodato. Egli, vegliardo, ma dio di cruda e verde vecchiezza, spinge la zattera con una pertica e governa le vele e trasporta i corpi sulla barca di colore ferrigno."


Divina Commedia


Nella Divina Commedia, troviamo il demone traghettatore nel III Canto, mentre grida con le anime dei dannati e le batte col remo. Caronte cerca di sbarrare il passo a Dante, poiché il poeta è vivo, ma Virgilio, con poche parole, lo tiene a bada.


Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: "Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi a l’altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.
E tu che se’ costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti".
Ma poi che vide ch’io non mi partiva,
disse: "Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
più lieve legno convien che ti porti".
E ’l duca lui: "Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare".
Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che ’nteser le parole crude.
Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme
di lor semenza e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
ch’attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s’adagia.


Divina Commedia, Inferno, III Canto, v. 82-111
Pietro D'onghia









Palestra

Palestra

I nostri spazi

I nostri spazi