I nostri colori

I nostri colori

6 maggio 2009

Pier delle Vigne - XIII canto dell'inferno -


Gianluigi Nerilli
Pier delle Vigne di origini meridionali e di famiglia più che modesta, era nato a Capua attorno al 1190, si trasferì ancor giovanissimo a Bologna, la sapientissima città, per frequentare le scuola di diritto. Soprattutto allora per un ragazzo povero, privo di amicizie e raccomandazioni, doveva essere difficile vivere in un ambiente culturale evoluto, dominato dai nobili e dalla Chiesa. Il suo sogno era quello di raggiungere un incarico universitario, di diventare un insegnante dotto e rispettato, di condurre tutto sommato un’esistenza tranquilla. Ma il destino gli riservava un diverso avvenire.
Terminati gli studi, ebbe la ventura di conoscere e di farsi apprezzare da Federico II, al punto che fu chiamato a Corte e gli fu proposto un incarico nella cancelleria. Da quel momento la carriera del giovane capuano fu tutta in ascesa: all’Imperatore piaceva il suo dotto eloquio, la capacità di scrivere coniugando le situazioni con le conoscenze giuridiche, di interpretare con facilità le problematiche più complicate siano state esse religiose, politiche, economiche, sociali... In breve tempo si affermò in tutti gli ambienti che frequentava: divenne insigne poeta, diplomatico, ministro di Corte; utilizzato nelle missioni diplomatiche più delicate, raggiunse la carica di Logoteta del Regno di Sicilia, in pratica un sorta di viceré durante le ripetute assenze di Federico.
Nel 1247, ormai circa 57enne, il desiderio dello statista illustre e dell’insigne letterato era quello di concludere tranquillamente la carriera quando una notte di febbraio, mentre si trovava a Cremona ,allora la capitale italiana dell’Impero, fu arrestato dalla milizie imperiali e rinchiuso nel castello di Borgo san Donnino (l’odierna Fidenza, in provincia di Parma) come il colpevole di un gravissimo delitto.
Oggi conosciamo con buona approssimazione come Pier delle Vigne morì; meno bene perché fu brutalmente perseguitato e condannato.
Dopo una breve permanenza nel castello di Borgo San Donnino, Pier delle Vigne fu trasferito nella più protetta Rocca di San Miniato. Qui fu tenuto per alcuni giorni nella più rigida segregazione, finché si presentarono a lui tre sinistri aguzzini. Senza falsi preamboli, mentre due di loro lo tenevano fermo, il terzo gli ficcò negli occhi un ago ardente che lo accecò irreparabilmente: forse un modo per farlo tacere, per impedirgli di pensare, di difendersi, di essere un uomo… Una pratica diffusa nel Medio Evo ed in particolare presso la Corte sveva, un terrificante rituale che univa alla sanzione un macabro simbolismo.
Il supplizio non era forse terminato: anzi, è lecito ritenere che le milizie imperiali si preparavano ad esporre al pubblico ludibrio il vecchio Logoteta, quando fu lui a porre fine ai tormenti. Mentre veniva trasferito dalla Toscana, a cavallo, verso una ignota destinazione, riuscì a raccogliere le residue energie e, superata con uno slancio la testa dell’animale, si buttò a capofitto in avanti. Un salto che in condizioni normali non avrebbe creato alcun danno, ma che la sorte benigna volle rendere fatale: egli infatti batté con il capo su una rupe e morì all’istante.
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?

Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
ben dovrebb'esser la tua man più pia,
se state fossimo anime di serpi».

Come d'un stizzo verde ch'arso sia
da l'un de'capi, che da l'altro geme
e cigola per vento che va via,

sì de la scheggia rotta usciva insieme
parole e sangue; ond'io lasciai la cima
cadere, e stetti come l'uom che teme.

«S'elli avesse potuto creder prima»,
rispuose 'l savio mio, «anima lesa,
ciò c'ha veduto pur con la mia rima,

non averebbe in te la man distesa;
ma la cosa incredibile mi fece
indurlo ad ovra ch'a me stesso pesa.

Ma dilli chi tu fosti, sì che 'n vece
d'alcun'ammenda tua fama rinfreschi
nel mondo sù, dove tornar li lece»...

Palestra

Palestra

I nostri spazi

I nostri spazi